Un errore che viene spesso fatto dal farmacista riguarda la confusione tra costi e uscite finanziarie (pagamenti) e tra ricavi ed entrate (incassi). Faccio tre esempi: se ricevo la bolletta del telefono, con l’addebito dei consumi di dicembre ma con scadenza di pagamento a gennaio, il costo sarà di competenza dell’anno che termina, ma l’uscita riguarderà il successivo. Così, se la distinta che invio alla ASL relativa alle ricette di novembre mi viene rimborsata a inizio anno nuovo, il commercialista apposterà nel conto economico dell’anno in corso i ricavi corrispondenti, mentre nell’esercizio successivo ne registrerà l’incasso. Infine parliamo di ammortamenti; questi rappresentano la situazione per cui il pagamento è stato effettuato nell’anno di acquisto del bene (auto, attrezzatura, arredo, software, avviamento per l’acquisto della farmacia,…), ma il cui costo viene letteralmente spalmato sui conti economici di diversi anni, periodo durante il quale si stima possa manifestarsi l’utilità di quell’investimento.
Al termine le imposte dirette, tanto per capirci, si calcolano sul risultato d’esercizio, a prescindere dai movimenti finanziari. Pertanto, la medesima farmacia può trovarsi in una situazione di equilibrio economico (i ricavi superano i costi d’esercizio) e contestualmente di squilibrio finanziario (le entrate sono inferiori alle uscite). E siccome i flussi di cassa rappresentano l’“ossigeno”, mentre i profitti il “cibo”, sai benissimo che si può stare anche per un po’ senza mangiare, ma senza aria…